venerdì 3 febbraio 2012

RUSSIA: BLOGGER REVOLUTION


Russia, la rivolta degli innocenti
così lottano i ragazzi dell'internet café

Putin li ha definiti i "criceti del computer". Gorbaciov li chiama figli della perestrojka. Sono blogger, giornalisti, ambientalisti e sfidano il regime attraverso la Rete. Li abbiamo incontrati. Ecco cosa voglionodi EZIO MAURO


MOSCA - L'ultima rivoluzione russa va in onda dal caffè vietnamita, sulla Nikolymskaja, all'angolo col Kolzò, l'anello che circonda il centro di Mosca. Apri la porta, parte la musica di "Magic Moments", ed entri nella quarta dimensione. 

L'uomo che ha trovato la chiave di questo universo parallelo ha 35 anni, fa l'avvocato con un anno di specializzazione a Yale, ed è diventato il nemico numero uno del Cremlino, il capo della protesta che domani torna in piazza contro i brogli elettorali in vista delle elezioni per il Presidente della Russia. 

Adesso Aleksej Navalnyj sta nel divano in fondo, circondato da tre collaboratori sotto i trent'anni, e qui riceve i giornalisti stranieri, nel caffè trasformato in ufficio volante della rivolta. Dice che è il suo mestiere che lo ha portato a leggere i bilanci delle grandi aziende russe, a documentare gli sprechi e la corruzione che cresce attorno al potere. Poi, la decisione di mettere cifre, sigle, nomi e cognomi su un blog, che si è trasformato in uno show online, che cresce ogni giorno. 

A quel punto, spiega, il potere ha cominciato a perdere l'equilibrio. E lui, che dietro ogni azienda e ogni potentato economico vedeva sempre la "montagna" Putin, si è trovato senza accorgersene a fare politica. Finché una radio gli ha messo il microfono davanti e gli ha chiesto cosa pensa di "Russia Unita", il partito di Putin e Medvedev, i due leader che si scambiano da dodici anni le cariche al vertice dello Stato. Incredibilmente, sulle onde medie si è sentito un giudizio a cui la Russia non era abituata: "Un partito di ladri e di malfattori", ha infatti detto Navalnyj, ripreso e rilanciato da mille blog e dal tam tam infernale di Facebook.

La frase ha incominciato a vivere di vita propria e il potere che credeva di controllare tutto, si è dovuto accorgere del vortice incontrollato di Internet. Blog, siti sociali, clip amatoriali, una valanga di notizie, denunce, sberleffi corre sotto il controllo ufficiale dell'informazione di regime, lancia gli appuntamenti, aggiorna le parole d'ordine, convoca le manifestazioni, guida la piazza. 

Noi non possiamo usare niente di fisico, dice Navalnyj, manifesti, volantini o giornali, perché la polizia controlla tutto. Allora è stato giocoforza spostarci in una dimensione parallela, tutta virtuale e in rete: la quarta dimensione, appunto. 

Il potere non può seguirci, perché loro hanno una cultura materiale, da apparato, da controllo. Non sanno che fare. Putin aveva definito "criceti del computer" i ragazzi del web. Nell'ultima manifestazione di piazza, il 24 dicembre, uno striscione diceva: stai attento, i criceti si sono alzati in piedi, e oggi sono qui. Internet non è più controllabile, troppo tardi, il potere non ha alzato un firewall di filtro all'inizio, adesso ci sarebbe la rivolta di 60 milioni di utenti, con Mosca tutta ormai wireless, le infrastrutture finanziarie delle grandi aziende che operano solo in rete.

E così è in pieno svolgimento la battaglia nuovissima tra l'Internet dei popoli e la televisione del potere, che prova a nascondere, delegittimare, confondere. Navalnyj, ad esempio, non è mai comparso sulla prima rete di Stato, nemmeno quando ha portato centomila persone dall'Oktjabreskaja a piazza Bolotnaja (il luogo delle esecuzioni ai tempi dello Zar) attraverso il ponte dei matrimoni, stracolmo di ragazzi.

Ma dopo Capodanno, quand'è tornato con la sua famiglia da una decina di giorni in Messico, ha trovato due troupe con telecamere e microfoni: perché va in vacanza in Messico? È vero che sua moglie è americana e vive negli Stati Uniti? Lui ha mostrato alle telecamere la moglie e i due passaporti russi. Poi ha preso le immagini, e le ha messe sul suo blog. L'unica difesa che abbiamo, spiega, è dire tutto, sempre, su tutto. 

Solo la trasparenza ci può salvare dall'opacità del potere, che sta provando anche a creare eroi di regime su Internet. Come l'anonimo che si firma "Il ragazzo col gatto", e minaccia dal web: fatevi pure le vostre rivoluzioni ma poi non lamentatevi se l'America finirà per invaderci e se i suoi soldati verranno qui a fare le stesse porcherie che hanno fatto in Vietnam e in Iraq: i nostri bisnonni non hanno certo tagliato la gola ai circassi e i nostri nonni non hanno fermato i nazisti per permettere al signor Navalnyj di distruggere la Russia con la sua propaganda pagata dagli americani.

Piantato in mezzo al bulvar, il viale interno più bello di Mosca, lo scrittore Viktor Erofeev alza gli occhi al cielo pulito dal freddo di questi giorni. Un tempo così, spiega, lo aspettavamo da novembre, cielo azzurro, sole, l'aria tersa come capita solo pochi giorni ogni inverno: e su questo paesaggio, è ancor meno sopportabile lo sporco del potere. Putin vincerà alle elezioni presidenziali del 4 marzo, ma Erofeev percepisce l'affanno del Cremlino, il disagio per gli attacchi violenti, l'incertezza non nel risultato, ma nella legittimazione. E a quel punto, si domanda lo scrittore, che Putin sarà? L'europeo, che sorride all'Italia, guarda alla Germania, fa accordi con l'America e accontenta la fascia giovane della popolazione, già occidentale nei consumi? Oppure l'uomo con la memoria del Kgb, che flirta col Venezuela, stuzzica gli Usa, cerca intese con la Cina? Nessuno oggi può dirlo.

Il mistero Putin forse diventerà un romanzo di Erofeev. Un mistero che secondo lui gli occidentali non possono capire, perché usano categorie sommarie, e trattano Putin come un dittatore. E invece è un ufficiale del Kgb, pronto a comprare e vendere, perché abituato a negoziare sempre uno scambio. Per lo scrittore, lo scambio che il Cremlino propone ai russi è chiarissimo: vi do la libertà privata che non avete mai avuto in cambio della lealtà politica. Arricchitevi come volete, garantisco io e vi assicuro impunità: ma girate al largo dalla politica, che è roba mia.

Come mai questo patto si è rotto? Dice Viktor Loshak, direttore da vent'anni di giornali progressisti, prima Moskovskie Novosti e oggi Ogoniok, che succede così quando si forma una classe media, in un Paese dove non c'è mai stata un'autonomia del sociale, e non è mai nata una pubblica opinione. Loshak ha chiesto poche settimane fa a Grigori Javlinskij, l'eterno antagonista di Putin a cui viene impedito di candidarsi, perché non si decide a dare battaglia. Perché, è stata la risposta, non ho mai visto perdere un leader che in otto anni ha aumentato di cinque volte il reddito medio del Paese: contro Putin è inutile.

E tuttavia sono proprio loro, i nuovi ceti medi in formazione che vanno in piazza. Non li avevo mai visti, dice il giornalista, mai come oggi: giovani, colti, professionali, hanno soldi, stanno bene, hanno qualcosa da perdere nella rivolta e invece eccoli che escono dalle case e dagli uffici e ingrossano la protesta. Per la prima volta, è una generazione interamente nuova che si manifesta: non più sovietica, soltanto russa, senza le colpe collettive del passato, la colpa di chi porta il giogo della dittatura comunista. Una generazione mai battuta, mai colpita dal potere sovietico e dalle sue umiliazioni. In questo senso è la rivolta degli "innocenti".

Anche se qualcosa del passato rimane in questa democratura che è la Russia 2012. Basta andare a trovare a Kommersant Oleg Kashin, che ha scritto un lungo articolo sulla protesta per difendere il bosco di Khimki, alla periferia di Mosca, minacciato da un raddoppio autostradale, e quando una sera tardi è tornato a casa ha trovato due persone che lo aspettavano sul marciapiede con un mazzo di fiori in mano. Nel mazzo c'era un tubo di ferro, lo hanno colpito più di 50 volte in testa, lasciandolo nel sangue finché ore dopo un netturbino non ha chiamato un'ambulanza.

Quel bosco che comincia dove i russi hanno fermato i nazisti, è coperto di neve, col sentiero battuto in mezzo a pioppi e acacie, e subito dietro si allungano le betulle, alte, bianche e flessibili. Soltanto che, appena ti avvicini, c'è una macchia di vernice rossa sopra un vecchio pioppo, su quella betulla, sull'acacia qui di fianco, forte e robusta. È il segno che quegli alberi sono condannati, devono morire, qui passa il tracciato della strada che trasformerà il bosco, come dice il generale Gromov, governatore, in una "infrastruttura".

Evghenija Cirikova, che ha 35 anni e due figlie piccole, vive a pochi passi dal bosco, in due stanze al primo piano di una vecchia casa kruscioviana dove Mosca finisce e non comincia nient'altro che periferia. Lei è entrata nella piccola foresta con altre mamme, qualche studente, pochi contadini coi capelli bianchi. Si sono fermati davanti ad un recinto di fortuna: la Zona. Dentro, hanno visto l'inizio della distruzione: alberi tagliati, tronchi piegati, mozziconi di pioppi, ceppi di betulla, un cimitero di alberi, sotto la neve. E attorno tutti quei segni rossi sugli altri alberi da abbattere.

Evghenija, che non aveva mai fatto politica in vita sua, si è infilata sotto i bulldozer, e li ha fermati col suo corpo, insieme con i suoi amici. Poi il potere ha cercato di negoziare, offrendole una casa più grande, ma lei ha risposto che vuole capire che fine faranno i boschi e il verde attorno a Mosca, i fiumi e i laghetti. Non sono del potere, ma nostri, spiega, non possono decidere loro. Devono smetterla di trasformare il nostro territorio in soldi, che attraverso soci francesi si infilano in un saliscendi di off-shore e finiscono agli amici del Cremlino: basta con questo potere incontrollato e famelico.

Mentre lo diceva, Evghenija ha cominciato a far politica, è finita sul palco di tutte le manifestazioni, vengono ecologisti da lontano a parlarle, oggi le televisioni svedese e finlandese la scortano nel bosco. Qui ha scelto la zona più bella, Bubrova, al confine coi tagli, e ha montato un vagone dove c'è una vigilanza 24 ore su 24, una sorta di sentinella a guardia della natura russa minacciata dal potere. Attorno, hanno scavato qualche trincea di difesa, c'è il riparo per i cani, e dentro ci sta appena un letto, una chitarra e una stufa. Per ora, i lavori proseguono tutt'attorno, e lì Evghenija li ha fermati.

Ma non le basta più. Ha creato da un mese una radio ecologista sul web, diretta da Aleksej Massolov, domani una colonna ecologista marcerà alla manifestazione, un'altra novità politica assoluta. Il giorno prima del voto contestato per il Parlamento, il gruppo del bosco di Khimki si è presentato davanti alla Casa Bianca, sede del governo, a chiedere giustizia, Evghenija aveva in mano una bilancia di plastica presa tra i giochi di sua figlia, l'hanno bloccata, portata via, fermata per un giorno. 

È bastato un barrito dalla sirena del furgone della milizia per disperdere in un attimo tutto il gruppo. Ma il giorno dopo Evghenija ha ricominciato, e non ha più smesso. Se prendi coscienza dei tuoi diritti, spiega, vuoi andare fino in fondo, vuoi semplicemente essere libero. Ecco perché vado in piazza a parlare del bosco, ma anche a chiedere elezioni libere, questo potere se ne deve andare.

Dove ha preso la gente questa forza che non ha mai avuto, questa voglia di contare? Per capirlo bisogna entrare nella rete di Navalnyj e dei suoi ragazzi avvocati, accampati in otto in quattro stanze, ognuno davanti al suo computer, e con una sola penna per tutti, relitto del passato. 

Dunque, ecco come si stimola la cosiddetta società civile, perché si muova. Konstantin Kolmykov, 29 anni, apre il sito di RosPil (vuol dire segatura di Russia, ciò che resta dopo la rapina) che ha come immagine ufficiale l'aquila di Stato a due teste, ma con due seghe al posto degli artigli. Infatti il sito serve a controllare come vengono spesi i denari delle commesse pubbliche, visto che Medvedev ha denunciato come su cinque trilioni di rubli spesi ogni anno uno venga rubato.

Funziona così. La gente manda le sue denunce al sito, che le pubblica, 93 avvocati indagano, per ogni materia si apre un portafoglio elettronico, si raccolgono contributi dalla popolazione, e si fornisce il rendiconto. Eccolo qui che scorre sullo schermo: verifiche in corso 212, denunce odierne 41, soldi recuperati più di quaranta miliardi di rubli. Per l'esattezza 40.407.536.066,71, cioè più o meno un miliardo di euro. Il rendiconto delle spese viene subito dopo: 5.660.285 rubli, vale a dire 75mila euro circa.

I russi scoprono che possono essere ascoltati, che dopo essere stati sudditi e bolscevichi possono diventare cittadini, capiscono che il potere si può addirittura fermare. Come quando RosPil ha scoperto che il governo della regione di Khabarovsk aveva deciso di farsi realizzare un sito Internet del costo di 25 miliardi di rubli, una cifra pazzesca. Denuncia sul sito, avvocati al lavoro, ricorso all'authority, denuncia per mancata concorrenza. Ricorso vinto, l'appalto è annullato, va fatta una gara. Ma il governo regionale rinuncia alla gara e a tutto. Non gli interessava il sito, evidentemente, ma la montagna di quattrini.

Ecco allora che si spiegano gli "Automobilisti organizzati" che si raccolgono attorno a Viktor Klepikov, 35 anni, e Sergej Kanaev, 36. O i seimila iscritti al sito "La buca russa" alimentato da Fedor Ezyev, che aiuta a far denuncia, codice alla mano, per le buche in strada. Fino ad arrivare al lavoro di Dmitryj Volov, 28 anni, che monitorizza le spese delle grandi corporazioni statali, i giganti del petrolio, e fa una battaglia legale continua per la trasparenza dei bilanci delle aziende e delle banche. 

L'ultima raffica di ingiunzioni spedite a una decina di società riguarda i verbali delle riunioni dei Consigli di amministrazione. Qualcuna ha risposto, molte no, sono partiti i ricorsi, Dmitryj ha vinto contro Transnieft, a cui è stato imposto di rendere pubblici i dati richiesti.

Infine, e inevitabilmente, tutto porta e ritorna alla politica. Perché i ragazzi di Navalnyj usano lo stesso sistema per monitorare le prossime elezioni di marzo. Zhora Alburov, 22 anni, ha lanciato il sito di Rosvybori, elezioni russe. Qui si registra liberamente chi vuole fare l'osservatore contro i brogli, non vengono chieste patenti politiche o affiliazioni. 


Il volontario scrive, un sistema automatico lo indirizza ad un seggio della sua zona dove alle elezioni parlamentari ci sono state percentuali sospette a favore del potere, sempre il sistema fornisce il nome dell'osservatore ai partiti d'opposizione che possono inviarlo come loro rappresentante al seggio. Fino ad oggi i volontari sono già 20mila, 10mila a Mosca, gli altri fuori. È come se un grande computer rovesciato avesse cominciato a controllare il potere.

La vera partita per il voto - che dovrebbe dare a Putin secondo tutti la vittoria al primo turno, una vittoria che il movimento considera un'autonomina - si gioca a Mosca. La provincia sterminata della Russia dei villaggi sta con Putin, nell'idea che il potere debba coincidere con la "sila", la forza, con le tradizioni profonde, con l'anima russa eterna che è un'anima imperiale, e che Putin ha restituito intatta dopo la disfatta dell'imperialismo sovietico. 

Ma il movimento di protesta è cittadino, metropolitano, senza fili, creativo. Se si va di mattina dalle parti della vecchia fabbrica dolciaria "Ottobre Rosso", che spandeva il suo odore di cioccolato sovietico poroso fino al ponte, si scopre una zona di loft, cineforum, pub e birrerie che cambia il volto di Mosca.

Qui guardando dai vetri la Moscova ghiacciata il pubblicitario Jurij Saprikin si occupa dell'estetica della rivoluzione. Prima ha selezionato la musica, fermandosi sulle vecchia musiche della perestrojka, cantata dai "Kino'" ("Vogliamo il cambiamento") e soprattutto dal gruppo "Ddt" di Jurij Shevcjuk. Poi ha raccolto gli artisti di strada finché quelli di "Vojna'" hanno cominciato a dare fuoco a finte auto di polizia ad ogni performance.

E qui, l'estetica ha cominciato a mescolare codici e linguaggi. Col laser è stato proiettato il teschio con le tibie incrociate dei pirati proprio sulla facciata della Casa Bianca, basta un minuto, tanto l'immagine finisce su YouTube dove verrà moltiplicata all'infinito e vivrà per sempre. Al museo di biologia dieci ragazzi hanno improvvisato scene di vero sesso per festeggiare "l'orsetto Medvedev", prima di fuggire. 

Poi la protesta degli automobilisti contro l'arroganza dei lampeggianti, con migliaia di auto che sfilavano per Mosca con un secchiello da bambino incollato al tetto, a simulare un lampeggiante, e la polizia che non sapeva che fare. Infine il colore bianco, portatelo tutti, un nastro o un fiore, chiedeva il web quando Putin ha annunciato la sua ricandidatura. Adesso, i palloncini bianchi. Perché la Bolotnaja dove si conclude la manifestazione è infossata, ma se si alzano in cielo anche dall'alto del Cremlino li vedono.

E i vecchi, in mezzo a tutti questi ragazzi designer, programmisti, campioni di YouTube: cos'hanno da dire i vecchi? È ancora viva una generazione maledetta, quella dei "Shestidisiatniki", i ragazzi degli anni Sessanta, che avevano fatto in tempo a credere nel breve disgelo di Krusciov per poi finire sepolti sotto la stagnazione brezneviana, e quindi faticosamente erano tornati a sperare - inutilmente - con la perestrojka. Adesso sono ai margini, sanno tutto e non contano nulla, conservano come hanno fatto per decenni la profezia di Bulgakov: "Tutto può ancora accadere perché nulla può durare in eterno".

Ma è giusto chiedere cosa sta succedendo a un vecchio dissidente, lo storico Roy Medvedev, che ha 87 anni e vive in fondo al Kutuzovskij Prospekt, dove va ogni giorno a riordinare la carte nel suo piccolo ufficio. Roy Aleksandrovic dice che al contrario del popolo della protesta, lui rispetta profondamente Vladimir Putin, e proprio per le ragioni che l'Occidente non capisce: basta voltarsi indietro, guardare alla stagione terribile degli anni Novanta, l'era di Eltsin, ricordarsi come la Russia stava crollando disfacendosi, tanto che nel suo villaggio sono morti tutti. Oggi, dice Roy Medvedev, il Paese è solido, la gente vive meglio, il timone della Russia è di nuovo governato, anche se capisco che questo possa dispiacere all'Occidente, e che i nostri ragazzi vogliano di più. Ma quel che conta è la Russia, e la Russia si è salvata.

Nel suo ufficio da monarca spodestato, pieno di fotografie coi Grandi della terra, Mikhail Gorbaciov dice che è vero, e proprio per questa ragione Putin dovrebbe ritirarsi dopo tre mandati, salvando ciò che ha fatto per la Russia, senza ostinarsi a durare oltre il limite. Mikhail Sergheevic ha 81 anni, si porta addosso la maledizione dell'ultimo Segretario Generale più dei meriti del primo riformatore. Ma una cosa vuole dirla: questi ragazzi hanno coraggio, li chiamano figli della perestrojka, allora vuol dire che noi vent'anni fa abbiamo gettato il seme di qualche speranza, che oggi matura.

Adesso si dice che la manifestazione vedrà meno gente, fa molto freddo, nevica e Facebook che moltiplica gli appelli ingigantisce anche i litigi tra i capi del movimento, con le accuse a Navalnyj per il suo passato nazionalista di destra, gli attacchi a Evghenija Cirikova per essere una sorta di hippy fuori tempo e fuori Paese, le critiche ai cosiddetti "ragazzi di Jean Jacques", più attirati dalle mode che dalla protesta, preoccupati solo di ritrovarsi nella birreria con quel nome vicino all'Arbat.

Pochi, tanti? Ma vedete, dice Denis Bylunov dagli studi della nuova tv di Solidarnost, che anche voi come loro siete figli di una cultura materiale, per voi contano solo i numeri e le quantità, mentre il muro si è rotto proprio per la qualità della protesta. La madre di Denis ha allenato la nazionale russa di scacchi, e lui stesso è stato assistente di Garry Kasparov, dunque gli scacchi spiegano tutto, la partita è appena cominciata. Noi, dice, siamo una minaccia perenne, e non più eliminabile: e il manuale di scacchi dimostra che la minaccia può essere più devastante dell'attacco frontale, e porta alla vittoria.

Al viet café chiedo a Navalnyj quanto può sopravvivere la pura protesta, senza uno sbocco politico. Lui dice che entro cinque anni ci saranno elezioni libere in Russia, e allora si candiderà. Altrimenti? Allarga le braccia, dice che non si può essere eroi di Internet per sempre, la rete mangia e consuma, la gente si stuferà, ma loro saranno stati utili comunque. Poi tace guardando due ragazzi che si baciano sul divano giù in fondo, incuranti del destino di questa rivoluzione da bar, anzi da Internet café.

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