L'iPad assassino nasce in Cina ma è un'Apple Usa
di Giovanna Botteri
La chiamano la "rete dei suicidi" gli operai di Foxconn City a Schengen, in Cina. Qui viene assemblato il 90 per cento dei prodotti Apple. Qui 137 lavoratori sono stati intossicati dal liquido usato per pulire gli schermi dell'iPhone. E altri 77 sono stati feriti in due esplosioni nella fabbrica che produce gli iPad. Quattro sono morti. I militanti cinesi per i diritti dell'uomo raccontano che alla catena di montaggio Apple ogni operaio lavora più di 12 ore al giorno, 7 giorni alla settimana. E ci sarebbero anche dei bambini.
La denuncia è arrivata nel cuore dei clienti più fedeli di Steve Jobs. E la rivolta, iniziata a Hong Kong con una clamorosa protesta per l'apertura del nuovo store, ha raggiunto in un attimo quelli che usano internet e i social network come filosofia di vita. Milioni di persone in tutto il mondo, che hanno portato le azioni della Apple dai 78 dollari iniziali ai 500 attuali, in meno di tre anni. Idolo dei blogger ribelli, fedeli al suo "stay foolish, stay hunger", Steve Jobs potrebbe aver usato due parametri di lavoro per i suoi dipendenti.
Collaboratori entusiasti nella fabbrica ultra moderna e ultra accessoriata di Cupertino, in California, schiavi sfruttati nei palazzoni di Foxconn a Shenghen. Un guadagno miliardario sulla pelle degli operai cinesi, denuncia Occupy Wall Street, che ha iniziato azioni di boicottaggio negli Apple Stores e ha ingigantito l'ondata di rabbia. Costringendo i successori di Jobs a correre ai ripari. Affidando ad una società indipendente, la Fair Labour Association, il controllo delle fabbriche cinesi dove si assemblano i loro prodotti.
La Ong, che nel suo consiglio di amministrazione comprende venti università ma anche i dirigenti di Nike e della stessa Apple, ha già cominciato le sue visite negli stabilimenti di Foxconn, ed iniziato a controllare orari di lavoro e trattamento degli operai. Nessuna irregolarità, dicono i primi esami, anche se qualcuno ammette che la vita dei giovani che lavorano alla catena di montaggio è ripetitiva, misera, senza speranze, e che effettivamente l'ambiente potrebbe sviluppare istinti suicidi.
A Cuppertino ribadiscono che se mai si trovassero violazioni dei diritti, se ne andranno dalla Cina. Minacce a cui nessuno crede troppo. Anche perché alla Casa Bianca è appena stato in visita il futuro presidente cinese. Barack Obama ha parlato di diritti umani, ma anche e soprattutto di economia. Dal momento che Pechino, che ha invaso i mercati mondiali con la sua merce a basso costo, grazie alla sua moneta svalutata, e alle condizioni di lavoro nelle sue fabbriche, si è già comprata il debito pubblico americano.
La chiamano la "rete dei suicidi" gli operai di Foxconn City a Schengen, in Cina. Qui viene assemblato il 90 per cento dei prodotti Apple. Qui 137 lavoratori sono stati intossicati dal liquido usato per pulire gli schermi dell'iPhone. E altri 77 sono stati feriti in due esplosioni nella fabbrica che produce gli iPad. Quattro sono morti. I militanti cinesi per i diritti dell'uomo raccontano che alla catena di montaggio Apple ogni operaio lavora più di 12 ore al giorno, 7 giorni alla settimana. E ci sarebbero anche dei bambini.
La denuncia è arrivata nel cuore dei clienti più fedeli di Steve Jobs. E la rivolta, iniziata a Hong Kong con una clamorosa protesta per l'apertura del nuovo store, ha raggiunto in un attimo quelli che usano internet e i social network come filosofia di vita. Milioni di persone in tutto il mondo, che hanno portato le azioni della Apple dai 78 dollari iniziali ai 500 attuali, in meno di tre anni. Idolo dei blogger ribelli, fedeli al suo "stay foolish, stay hunger", Steve Jobs potrebbe aver usato due parametri di lavoro per i suoi dipendenti.
Collaboratori entusiasti nella fabbrica ultra moderna e ultra accessoriata di Cupertino, in California, schiavi sfruttati nei palazzoni di Foxconn a Shenghen. Un guadagno miliardario sulla pelle degli operai cinesi, denuncia Occupy Wall Street, che ha iniziato azioni di boicottaggio negli Apple Stores e ha ingigantito l'ondata di rabbia. Costringendo i successori di Jobs a correre ai ripari. Affidando ad una società indipendente, la Fair Labour Association, il controllo delle fabbriche cinesi dove si assemblano i loro prodotti.
La Ong, che nel suo consiglio di amministrazione comprende venti università ma anche i dirigenti di Nike e della stessa Apple, ha già cominciato le sue visite negli stabilimenti di Foxconn, ed iniziato a controllare orari di lavoro e trattamento degli operai. Nessuna irregolarità, dicono i primi esami, anche se qualcuno ammette che la vita dei giovani che lavorano alla catena di montaggio è ripetitiva, misera, senza speranze, e che effettivamente l'ambiente potrebbe sviluppare istinti suicidi.
A Cuppertino ribadiscono che se mai si trovassero violazioni dei diritti, se ne andranno dalla Cina. Minacce a cui nessuno crede troppo. Anche perché alla Casa Bianca è appena stato in visita il futuro presidente cinese. Barack Obama ha parlato di diritti umani, ma anche e soprattutto di economia. Dal momento che Pechino, che ha invaso i mercati mondiali con la sua merce a basso costo, grazie alla sua moneta svalutata, e alle condizioni di lavoro nelle sue fabbriche, si è già comprata il debito pubblico americano.
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