venerdì 3 febbraio 2012

OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI FUORILEGGE DAL 2013


E’ ufficiale. Entro, e non oltre, il 31 marzo 2013 tutti gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in Italia saranno chiusi. I detenuti verranno trasferiti in centri, finalmente, adeguati alla cura delle patologie che affliggono queste persone. Una vittoria, seppur tardiva, della minima dignità che ogni Paese civile dovrebbe riservare ai suoi cittadini più preziosi: quelli a cui ha tolto la libertà. Ripubblichiamo l’articolo di Egle Mugno, uscito su E il Mensile di novembre.

Egle Mugno
In Italia sono sei e rinchiudono 1.500 persone. Quattrocento dovrebbero essere già fuori. Gli ospedali psichiatrici giudiziari sono un territorio dimenticato in cui ogni dignità è annullata. Il Parlamento ha fatto un passo verso la chiusura, ma ancora non basta
Un uomo di 58 anni, rinchiuso da otto nell’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Aversa, una notte va in bagno e con un lenzuolo trasformato in corda si uccide. Poche ore prima aveva saputo che la sua pena era stata prorogata ancora una volta e che, nonostante da tempo fosse stato giudicato non più “socialmente pericoloso”, sarebbe rimasto rinchiuso lo stesso. Maurizio, 30 anni, nel 2004 viene arrestato per aver guidato contromano con il motorino. Finisce in un Opg dopo aver dato se­gnali di psicosi. Di proroga in proroga sono passati sei anni. Per lui non c’è nessuna cura e la sua attesa sembra senza fine. I manicomi sono stati aboliti davvero?
Il 27 settembre il Senato ha approvato all’unanimità la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale presieduta dal senatore Ignazio Marino, testo che impe­gna il governo a chiudere definitivamente gli ospedali psichiatrici giudiziari, strutture nate nel 1975, in seguito alla riforma penitenziaria, per sostituire i vecchi manico­mi giudiziari. In Italia attualmente ce ne sono sei e ospi­tano 1.500 internati: ad Aversa, Napoli, Barcellona Poz­zo di Gotto (Messina), Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere (Mantova). Si tratta di centri che accolgono persone che hanno commesso un reato ma sono ritenute mentalmente inferme. Una via di mezzo tra un carcere e un ospedale, un limbo dove il detenuto o – più correttamente – l’internato sconta la sua pena e contemporaneamente affronta un percorso riabilitativo per superare i disturbi psichici che lo hanno reso pericoloso per se stesso e per la società.
L’ispezione
Nel luglio 2010, i membri della commissione d’inchie­sta hanno ispezionato a sorpresa le sei strutture, con una videocamera, scoprendo che in questi luoghi il tempo si è fermato e che assomigliano pericolosamente ai mani­comi fascisti degli anni Trenta. Nella relazione finale si legge che “gravi e inaccettabili sono le carenze strutturali e igienico-sanitarie rilevate in tutti gli Opg, a eccezione di Castiglione delle Stiviere”; che “tutti presentano un assetto strutturale assimilabile al carcere o all’istituzione manicomiale”; che “la dotazione numerica del personale sanitario appare carente in tutti gli Opg rispetto alle neces­sità clinico-terapeutiche dei pazienti affidati a tali istituti. Le modalità di attuazione osservate negli Opg (di conten­zione o coercizione fisica) lasciano intravedere pratiche cliniche inadeguate e, in alcuni casi, lesive della dignità della persona, sia per quanto attiene alle azioni meccani­che, sia talora per i presidi farmacologici di uso improprio rispetto alla finalità terapeutica degli stessi”. Il rapporto parla di edifici sporchi, abbandonati, con gravi carenze strutturali e igieniche, celle claustrofobiche, personale medico quasi inesistente, agenti penitenziari che spesso sopperiscono all’assenza di operatori qualificati, internati sedati con psicofarmaci. L’immagine di un uomo chiuso in cella, legato mani e piedi a un letto di metallo con un foro centrale per far cadere feci e urina direttamente in un pozzetto ricavato nel pavimento, è sconvolgente. Altri flash agghiaccianti: nei bagni alla turca bottiglie d’acqua da bere depositate nel water d’estate per mantenerle fre­sche, d’inverno per evitare che i topi risalgano dalle fogne.
I “mai” che scandiscono il racconto di Francesco Cordio, il regista del documentario girato per la Commissione, raccontano meglio di ogni altra cosa l’abisso di degrado in cui è dovuto entrare: «Ho lavorato in molte situazioni gravi e deprecabili, ma mai in un posto come questo. Non ho mai provato nulla di simile. Sono luoghi orri­bili, ho faticato a riprendere le cose che avevo davanti, preferivo guardarle attraverso la telecamera». Ignazio Marino lo definisce «un viaggio nell’Ottocento» mentre per il presidente Napolitano questi uomini sono «vitti­me di contenzione e di un degrado indegno anche di un Paese appena appena civile». Albertina Soliani, una delle senatrici della Commissione d’inchiesta, è netta: «Gli Opg, nonostante la legge Basaglia del 1978, sono rimasti un territorio dimenticato, un cono d’ombra. È il momento per affrontare la questione in via definitiva, dopo questa risoluzione il governo non ha più alibi».
La questione è nota da tempo. Già nel 2005, Gil Robles, primo commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, dopo una visita agli Opg italiani aveva detto con chiarezza che per ogni internato andava chiesta una perizia psichiatrica approfondita e che per nessuna ra­gione i malati-detenuti sarebbero dovuti restare rinchiusi per mancanza di strutture esterne in grado di prender­sene cura. Robles, già sei anni fa, sollevava il problema delle “proroghe” che attualmente non è stato ancora risolto. Capita spesso che persone accusate in passato di reati minori, come furti o rapine, a causa di una perizia psichiatrica sbrigativa finiscano internati negli Opg per un periodo ben più lungo della pena stabilita.
Dimenticati
Questo è il caso di Davide, 32 anni, cinque dei qua­li passati nell’Opg di Reggio Emilia, che un giorno, a Udine, tenta una rapina prendendo una coppia in ostag­gio; le forze speciali intervengono e li liberano senza fare feriti. In base alla perizia psichiatrica che segue il suo arresto, durata sette minuti, è giudicato affetto da psicosi delirante. Davide viene internato di nuovo, per due anni che poi diventeranno sette. Di storie simili se ne potrebbero raccontare tante, purtroppo. A Napoli, un detenuto-paziente, internato per essersi presentato davanti una scuola vestito da donna, venne condannato a due anni. Ne sono passati venticinque, lui è ancora lì. Questo accade perché fuori non c’è nessuno – non la famiglia né la struttura sanitaria territoriale – che sia in grado di prendersi cura di lui. Un’agente penitenziaria in servizio presso l’Opg di Napoli lo conferma: «Per il 40 per cento degli internati la pericolosità sociale è venuta meno. Il problema è che i magistrati di sorveglianza non sanno dove mandarli e prorogano all’infinito la loro permanenza». Infatti sono quattrocento, un quarto del totale, gli internati giudicati “dismissibili” fin da subito perché non più socialmente pericolosi che però si tro­vano ancora rinchiusi.
La questione è stata sollevata nuovamente, nel 2008, dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani e degradanti del Consiglio d’Eu­ropa, dopo una visita in Italia: «Alcuni pazienti sono stati trattenuti nell’Opg più a lungo di quanto non lo richiedessero le loro condizioni, altri, invece, oltre lo sca­dere del termine previsto dall’ordine d’internamento». Il governo italiano si giustifica: «La legge non prevede un limite per l’esecuzione di misure di sicurezza temporanee non definitive». Strano, perché la certezza della pena, la definizione della durata del periodo da scontare per un reato, è uno dei fondamenti di ogni democrazia moderna. In questo caso, evidentemente, si tratta di un optional.
Obiettivo abolizione
«Un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2008 impone la chiusura degli Opg a favore di strut­ture territoriali a carico del Sistema sanitario nazionale», spiega la radicale Maria Antonietta Farina Coscioni, au­trice del libro-inchiesta Matti in Libertà – L’inganno della Legge Basaglia, la quale ricorda che «se da un lato la risolu­zione votata all’unanimità è un importante passo avanti, dall’altro non è stata presentata nessuna denuncia ai dan­ni del ministero della Giustizia e di quello della Sanità, colpevoli di non essere intervenuti concretamente in tutti questi anni». Sullo stesso punto insiste il comitato Stop Opg, composto da venticinque associazioni che da tem­po si battono per la chiusura di queste strutture. «Il nostro obiettivo non è il miglioramento degli Opg, ma la loro abolizione perché sono una risposta sbagliata e incivile, proprio come lo erano i manicomi. Noi continuiamo a fare pressione su governo, regioni, Asl e dipartimenti di salute mentale responsabili di organizzare la presa in carico delle persone internate, come previsto dalle norme e da diverse sentenze della Corte Costituzionale».
Nessuno sa quanto tempo dovrà passare prima che il governo si decida a chiudere definitivamente gli Opg e a restituire dignità ai malati e alle persone che ci lavorano. Quanto si dovrà aspettare perché le istituzioni pongano fine all’inferno in cui vivono centinaia di invisibili. Un inferno che un agente di polizia penitenziaria che deve bastare, da solo, per trenta internati, riassume così: «Non dormono mai e c’è chi grida senza motivo. Io accorro, vado a vedere se sta male. Certo che sta male, ma den­tro e io non so cosa fare, non posso fare nulla. Ormai quelle voci me le sento dentro, me le porto a casa. Le sembra giusto?».
http://www.eilmensile.it/2012/01/19/fuori-dal-diritto/

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