mercoledì 13 febbraio 2013
REDDITO MINIMO GARANTITO IN EUROPA
di Gianni Perazzoli, da MicroMega 3/2005
1. Italiani/europei. Quello che sto per raccontare potrebbe suonare a molti incredibile. In Gran Bretagna a partire dai 18 anni chi non ha un lavoro e non ha risparmi per più di 12.775 euro ha diritto all' Income-based Jobseeker's Allowance, a circa 300-350 euro mensili per un periodo di tempo illimitato . A questa cifra si devono aggiungere l'affitto dell'alloggio (Housing Benefit) e tutta una serie di assegni per i figli. In Francia, invece, per avere diritto al Revenu minimum d'insertion (Rmi) bisogna aver compiuto 25 anni (non si applica la condizione dei 25 anni per i disoccupati con figli). Il Rmi prevede (nel 2005) l’integrazione del reddito a 425,40 euro mensili per un disoccupato solo, che diventano 638,10 euro se in coppia (proprio così, laicamente: couple); 765, 72 se la coppia ha un figlio, 893,34 per due figli e 170, 16 euro in più per ogni altro figlio. Una coppia con tre figli arriva quindi ad avere più di 1.150 euro di Revenu minimum d'insertion.
Nel nostro paese non si è mai saputo bene che cosa sia nella realtà dei paesi europei il reddito minimo. Non siamo consapevoli di rappresentare (in compagnia della Grecia) un'eccezione in Europa. Se ci fosse stata una volontà di occultamento di questa realtà, essa non avrebbe potuto raggiungere meglio il suo obiettivo. Ciò che in Europa è il minimo, la base, il punto di partenza, da noi costituisce l’oggetto di indagini sociologiche: ciò che dovrebbe costituire il punto di partenza di unprogramma di sinistra (che voglia proporsi almeno di recuperare il tempo perduto) rimane ancora da noi una realtà avvolta nelle ombre di un iperuranio di provincia.
Il reddito minimo è un sussidio riconosciuto a tutti come diritto soggettivo: ne beneficiano coloro che non hanno un lavoro o hanno un reddito basso. In Germania la riforma restrittiva introdotta nel 2005 indica che tra 16 e i 65 anni si può disporre dell'Arbeitslosengeld II di 345,00 euro al mese. In più i costi dell'affitto e del riscaldamento (Miete und Heizkosten). Riporto un esempio preso direttamente da un fonte ufficiale tedesca. Una famiglia composta da due figlie di 12 e 14 anni, nella quale il padre è disoccupato e la madre ha uno stipendio da un lavoretto part-time di 750 euro lordi e le due figlie 308 euro al mese di Kindergeld (che è un versamento che riguarda i figli), è considerata dalla riforma bisognosa di un incremento di reddito. Fatti i dovuti calcoli, questa famiglia ottiene un'integrazione del salario che la porta a disporre complessivamente di 1665 euro al mese netti .
Se questi dettagli sono poco noti, più noto è invece il racconto del rovinoso tramonto dello stato sociale europeo. Anche perché legioni di novelli Oswald Spengler, vedendosi troppo stretti nel ruolo di giornalisti, non perdono occasione per dimostrare il loro straordinario orecchio per ogni possibile accenno di Untergang : di declino, di decadenza. Di nuovo però ci si limita a rimanere nel generico, ai grandi scenari, e si trascurano i dettagli. Che però sono interessanti. Ad esempio, dopo la riforma restrittiva del 2005, i disoccupati tedeschi di lungo periodo non hanno più – in aggiunta al normale sussidio - i soldi per i mobili e per i vestiti. Non potranno neanche più usufruire del sussidio all'estero senza una ragione attinente alla ricerca di un lavoro (non possono andare, in altre parole, in vacanza con il sussidio).
Di qui la domanda spontanea: disoccupazione e precarietà significano la stessa cosa in Francia (o in Portogallo) e in Italia?
In Italia non solo non c'è niente di simile, ma – fatto questo da non sottovalutare – qui da noi riesce a molti già difficile credere a quanto appena letto. Gli increduli non si rattristino, ci siamo passati tutti: questo è il genere di informazioni più trascurate in assoluto dai nostri media. Così ci riesce difficile credere che in Spagna Zapatero progetti di portare il salario minimo interprofessionale a 600 euro per 14 mensilità, ma non facciamo alcuna difficoltà a credere che da noi si possa lavorare «regolarmente» in un call center per soli 300 euro mensili (o addirittura, come dimostra un'inchiesta del Manifesto, per 100 euro). Come si è potuti arrivare a questo?
A proposito di telefoni: in Francia, se siete disoccupati, «vous bénéficierez de la réduction sociale téléphonique» . Réduction sociale téléphonique? La «riduzione sociale sul telefono». Cielo! Ma questo, non sfugge a nessuno, che è linguaggio da centro sociale, da no global: possibile che i francesi siano giunti a tanto? Il loro welfare prevede non solo il fatto, ma persino l'espressione «riduzione sociale». Che rozzezza! E pensare che noi li immaginavamo dediti ai profumi e alla moda. La giustificazione addotta è che il disoccupato non deve isolarsi: il telefono gli serve anche per trovare un lavoro. Cari amici francesi, vi prendete troppo sul serio!
2. Un ritardo surreale. Agli increduli si prepara però un nuovo colpo. Non è da oggi o solo da ieri che il reddito minimo garantito è una realtà per la Gran Bretagna, la Germania e i Paesi scandinavi. Basti dire che Eric Hobsbawm sostiene nel Secolo breve che il reddito minimo avrebbe avuto un ruolo nel rendere i soldati inglesi più attaccati alla loro patria e dunque anche più combattivi.
In forza di questa lunga tradizione, inoltre, e a dispetto del luogo comune del tramonto del welfare europeo, già nel lontano 24 giugno 1992 l'«Europa» aveva invitato gli Stati membri ad adottare il reddito minimo nei loro sistemi di welfare. Ma la questione, in Italia, non è mai assurta veramente alla dignità del pubblico dibattito. Questo fatto suscita stupore nello stupore. Una cosa infatti è nominare di sfuggita il reddito minimo d'inserimento, un'altra è spiegare bene che cosa è in Europa il reddito minimo d'inserimento. La raccomandazione 92/441 Cee sulla Garanzia minima di risorse impegnava già nel 1992 tutti gli stati membri ad adottare delle misure di garanzia di reddito come un elemento qualificante del modello di Europa sociale. Si apprende così che non c'è dunque solo Maastricht (e i fondi europei gestiti a pioggia). Ma vai a saperlo! Un'accelerazione di questa politica di sicurezza c'è stata nel 2000 con il vertice di Lisbona e di Nizza. Tanto per capire: anche il Portogallo e la Spagna hanno seguito la direttiva, mentre inadempienti sono rimaste l'Italia e la Grecia. E questo nonostante il fatto che, secondo un'indagine del Censis, ben il 93% degli italiani si dichiara favorevole ad «attivare un meccanismo di integrazione del reddito per disoccupati e percettori di bassi redditi» .
Molti non sanno che in Italia si è sperimentato una specie di reddito minimo d'inserimento in pochi comuni del Nord e in alcune zone della Campania. La sperimentazione ha avuto inizio con il governo Prodi, ed è stata interrotta dal governo Berlusconi. Solo in alcune zone della Campania è stata proseguita da Bassolino con i mezzi della Regione . Ma insomma, piccoli passi.
La Francia è arrivata molto in ritardo al reddito minimo rispetto all'Inghilterra o alla Germania: lo ha adottato "solo" a partire dal 1 dicembre 1988. Mitterand in persona ha presentato solennemente alla nazione francese l'adozione del Revenu minimum d’insertion social con una manifestazione alla Sorbonne, ad indicare il coinvolgimento del mondo intellettuale nella conquista di questo istituto . Da noi, quasi vent'anni dopo, se ne parla ancora tra addetti ai lavori. Un’inchiesta approfondita di carattere sociologico dovrebbe far luce sulle ragioni della perplessità italiana verso il reddito minimo. È possibile stilare una specie di casistica delle reazioni e delle obiezioni ricorrenti in Italia una volta che si sia posti di fronte a questa realtà. Dopo la meraviglia (la meraviglia davanti a una realtà condivisa da milioni di persone oltre le Alpi), la tendenza di solito è quella di ridurre l'ignoto al noto. Questa attitudine spontanea suggerisce sistematicamente di attribuire all'Italia una serie di difetti e problemi strutturali che renderebbero da noi impossibile qualcosa come il Rmi. Non ce lo meritiamo! Chi andrebbe più a lavorare? Oppure: aumenterebbe il lavoro nero! Ci dovrà pure essere, si pensa, una qualche Ragione Fondamentale che spieghi perché non si è adottato anche da noi il reddito minimo. È in sé, infatti, talmente poco credibile che possa non essere stata tenuta nel debito conto l'esperienza che hanno fatto gli altri paesi europei di problemi come la disoccupazione e la precarietà - che da noi sono gravissimi - che è comprensibile che si cerchi una Giustificazione.
Eppure, l'esperienza più che decennale degli altri paesi rimane come imbrigliata tra le vette alpine, e non riesce ad arrivare fin qui. Quello che si dice è poco, non ha colore né concretezza. L'idea che filtra da noi è che si tratti di misure dirette a contrastare la povertà, l'esclusione sociale. E qui immaginiamo, credo, delle situazioni limite: barboni, senza tetto. Per qualche oscura ragione non si distingue con chiarezza che il carattere universalistico di questi sussidi si rivolge per principio a tutti. Ma in Italia sembra quasi che solo con la giustificazione del soccorso dei poveri si possa accettare l'idea del reddito minimo. Le ragioni sono invece più complesse. Il reddito minimo è una delle ragioni che emancipa molto presto i figli dalle loro famiglie in molti paesi europei. I figli della mia padrona di casa in Inghilterra se ne andarono di casa raggiunti i 18 anni con il loro bravo reddito minimo. E la madre non se la passava affatto male: aveva un bel lavoro e una bella casa in uno dei migliori quartieri di Bristol. Certo, è vero, i suoi figli erano "poveri", come sono "poveri" però la maggioranza dei diciottenni. Basterebbe riflettere sul fatto che hanno diritto al reddito minimo, in Gran Bretagna – come già detto - coloro che, oltre a non avere un lavoro, non superano i 12.775 euro di risparmi per capire che la parola "povertà" è equivoca. In Germania, come in Svezia, il 50% di coloro che ricevono il reddito minimo sono giovani sotto i 21 anni .
Una delle ragioni della freddezza italiana verso il reddito minimo è l'idea (diciamolo, detestabile e ridicola) che l'assistenza debba provenire dalla famiglia. In Inghilterra, invece, oltre al Child Benefit, «which is paid to parents», esiste l'Education Maintenance Allowance, il cui aspetto affascinante è di non essere un sussidio versato ai genitori ma ai figli, «direct into the students own bank account», nel loro conto bancario . In ogni caso, però, pur con tutta la nostra dedizione alla famiglia, noi spendiamo la metà di quanto spendono gli altri per la famiglia. In Francia le coppie (che lavorino o meno) con almeno due figli hanno diritto alle Allocations familiales: 115 euro al mese; con tre figli gli euro diventano 262 e se i figli sono più di tre a questa cifra vanno aggiunti 147 euro (per ogni figlio in più). Per quanto tempo? Fino al compimento del ventesimo anno di età. Come si ottiene il sussidio? Non occorre fare domande. Viene versato automaticamente. La Prestation d'accueil du jeune enfant (Paje) è invece un aiuto pensato per ogni nato, ma anche per ogni bimbo adottato o «accolto in vista dell'adozione»: varia da 138 a 211 euro. Per la baby sitter sono previsti altri soldi. Poi c'è la Allocation de rentrée scolaire: è concessa a chi non supera un certo reddito (16.726 euro l'anno per un figlio; 20.586 euro per due figli; 24.446 per tre figli). Ammonta a 257, 61 euro ed è versata a fine agosto per tutti i ragazzi che vanno a scuola. Serve per comprare libri, colori e quaderni. Anche per quanto riguarda l'affitto in Francia la condizione per usufruire dei contributi è che l'appartamento sia «decente e abbia una superficie minima, proporzionata al numero degli occupanti». Mancando queste condizioni, il disoccupato o chi ha un reddito basso, perde il diritto alla sovvenzione. Se poi si decide di ristrutturare il proprio alloggio, sia che si sia proprietari sia che si sia inquilini, si ha diritto al Prêt à l'amélioration de l'habitat, un prestito statale.
Persino con Margaret Thatcher al governo, il reddito minimo funzionava senza problemi. Questo lascia capire quanto bisogno abbiamo noi di "cose di sinistra", se persino al tempo della Thatcher - almeno rispetto a queste questioni - gli inglesi stavano meglio di noi oggi. Non so quanti tra noi si rendano conto del fatto che la nostra situazione è imparagonabile a quella inglese, o francese, tedesca … perché è tra le peggiori in Europa: lo dice Eurostat. Da noi si trovano insieme questi fattori: maggior divario tra i redditi, maggior numero di disoccupati e precari, assenza totale di reddito minimo, affitti delle case alle stelle. Alla mancanza di un confronto positivo con gli altri sistemi europei ha contribuito anche un limite ideologico della sinistra italiana che si è trasformato in un limite cognitivo. La sinistra non poteva registrare dei fatti positivi in sistemi di cui si pensava comunque come alternativa. Ulteriore conseguenza è che, all'interno di queste analisi e delle relative categorie, tutte le vacche sono diventate nere: e si è persa l'individualità, l’assoluta specificità, del caso italiano.
3. Differenza tra indennità e reddito minimo d'inserzione sociale. Per non incorrere in equivoci e nelle trappole del gioco delle tre carte occorre distinguere indennità di disoccupazione e reddito minimo. Per il nostro discorso non interessa l'indennità di disoccupazione a favore di chi aveva un lavoro e lo ha perso, che esiste anche in Italia, ed è finanziata dai contribuiti sociali. Interessa, invece, il reddito minimo d'inserzione, che è finanziato nei paesi europei dalla fiscalità generale, e che in Italia non esiste.
La differenza è enorme. L'indennità di disoccupazione è un'assicurazione. Sicché, è vero che è prevista anche in Italia, ma attenzione: solo i lavoratori più «tipici» se la possono permettere, perché solo questi versano i contributi necessari. I precari, i lavoratori cosiddetti «atipici», coloro che ne avrebbero dunque più bisogno, non hanno, invece, alcuna indennità. Inoltre, l'indennità di disoccupazione dura (solo da pochissimo) un anno, dopo di che buona fortuna. Al contrario in Europa, il reddito minimo copre sia chi non ha ancora un lavoro sia chi ha perso il lavoro e non ha diritto all'indennità o perché l'ha esaurita o perché non ha versato i contributi. Nel Regno Unito la distinzione è chiara già nei nomi delle due diverse prestazioni: Contribution-based Jobseeker's Allowance per l'indennità di disoccupazione e Income-based Jobseeker's Allowance per reddito minimo garantito. Per la stessa ragione esiste l'Income support che è previsto, però, per chi lavora meno di 16 ore a settimana . Queste forme di sostegno del reddito, naturalmente, sono illimitate nel tempo.
Per avere l'indennità di disoccupazione in Italia occorrono almeno due anni di contributi, oppure 52 contributi settimanali negli ultimi due anni. In Francia per aver diritto all'indennità è necessario aver lavorato almeno 6 degli ultimi 22 mesi. L'ammontare dell'indennità viene stabilito con una media della retribuzione degli ultimi 12 mesi, secondo un sistema che salvaguarda i redditi più bassi. La durata dell'indennità varia da un minimo di 7 mesi ad un massimo di 60. A ciò si aggiungono circa 10 euro fissi al giorno, in determinate circostanze.
In Germania l'indennità di disoccupazione si chiama Arbeitslosenhilfe. Viene calcolata in base al netto dell'ultimo stipendio (il 60% e con figli il 67%), e non è una voce soggetta a tassazione. Fino al 2002 si aveva diritto alla sovvenzione dell'Arbeitslosenhilfe anche con un'occupazione di sole 12 ore alla settimana. Sarà sopravvissuta alla riforma restrittiva questa opportunità? Diciamo che per noi cambia veramente poco. La durata dell'indennità di disoccupazione varia dai 6 ai 32 mesi (per chi ha 57anni). Ma a partire dal 31.01 06 si porterà a 12 mesi con un massimo di 18 mesi per chi ha più di 55 anni. Dopo questi 12 mesi gli Arbeitslosen tedeschi dovranno accontentarsi dell' Arbeitslosengeld II che di fatto è illimitata. Naturalmente, queste leggi si applicano anche agli stranieri che risiedono in Germania con regolare permesso di soggiorno. I siti ufficiali hanno immancabilmente apprestato delle spiegazioni per loro, traducendo la normativa in chiari punti in italiano, arabo, turco .
Un altro capitolo importante riguarda le condizione per ricevere il reddito minimo. Il disoccupato è aiutato a condizione che voglia lavorare in futuro. Ora c'è un problema che noi non ci poniamo. In Europa succede che il disoccupato possa ricevere delle offerte di lavoro addirittura dall’ufficio di collocamento. Non deve sfuggire un fatto essenziale: in queste nazioni imprevedibili e bizzarre, gli uffici di collocamento sono molto efficienti.
Ora la cosa essenziale è notare che il lavoro in ogni caso deve essere conforme alle qualifiche del lavoratore e può essere rifiutato senza perdere i vari sussidi qualora non rispondesse a queste qualifiche e se non rientrasse in determinati requisiti che sono definiti per legge. Ad esempio, se è troppo lontano dal proprio luogo di residenza. In Danimarca, a proposito di modello nordico, i disoccupati di lungo periodo hanno l'obbligo accettare il lavoro che l'ufficio di collocamento trova per loro, pena la progressiva diminuzione del sussidio.
4. Assenza dal dibattito pubblico. Lo si è detto, stupisce che una questione di grande rilevanza, come è, senza dubbio, quella del reddito minimo, non sia già da tempo un tema di pubblico dibattito e di pubblico dominio, ma rimanga un argomento confinato alle analisi sociologiche. Stupisce che la frase "il mercato del lavoro richiede oggi flessibilità" non si completi automaticamente con "e un reddito minimo garantito, come in tutti gli altri paesi europei". Insomma, è un fatto politicamente rilevante che in Italia non sia abbia una rappresentazione adeguata di che cosa sia il reddito minimo in Europa. C'è poco da girarci intorno. È solo colpa dei mezzi di comunicazione di massa? Da quando, vent'anni fa, feci esperienza diretta di queste cose vivendo in Inghilterra, ho avuto sempre l'impressione che in Italia si vivesse chiusi in una sorta di realtà parallela incomunicante con il mondo circostante. Curiosamente, sappiamo tutto delle bizzarrie della monarchia inglese, grazie ai "gustosi" servizi dei tg nazionali: caccia alla volpe, monellate dei principotti, matrimoni e tradimenti, diari e scandali. Non interessa invece il fatto che, mentre disoccupazione e precarietà in Italia sono prive di una reale copertura che non sia la famiglia, in Inghilterra chi non lavora, chi ha un reddito basso, o anche solo un diciottenne con la chitarra in mano, viene spesato anche dell'affitto della casa.
Eppure, ben lungi dall'essere una fantasia di utopisti, il reddito minimo funziona piuttosto bene in Europa: tant'è vero che il problema della disoccupazione non è più, in queste remote nations of the world, quello dell'indigenza, ma quello di ridurre il rischio (comunque molto limitato) costituito dalla cosiddetta "trappola assistenziale" che spinge alcune persone a rimanere nell'assistenza piuttosto che a lavorare. Molti studi hanno però dimostrato l'ovvio, e cioè che in linea di massima rimangono nell'assistenza coloro che avrebbero avuto comunque bisogno di assistenza .
Ma il vero vantaggio del reddito minimo è che permette di ridurre il condizionamento della disoccupazione nella scelta del proprio futuro lavorativo. Il reddito minimo permette di guardare al lavoro sotto una prospettiva che è più legata alla scelta, che non alla necessità. Il problema del lavoro tende – in linea di massima - a riguardare più il ruolo sociale, l'aspirazione individuale che non la ricerca del pane quotidiano. Non è detto che una persona debba voler far il cameriere o l'operaio, a vita fino alla pensione. Una maggior mobilità unita a garanzie sicure può essere, almeno per qualcuno, un'occasione di migliorare la propria posizione. In Italia invece il mezzo (il lavoro) diventa il fine. Ed ecco la paradossale locuzione dei cosiddetti lavori “socialmente utili” oppure le più banali assunzioni clientelari. Il lavoro tende a confondersi con il welfare. È un errore dunque minimizzare l'assenza tutta italiana del reddito minimo come una banale diversità di interpretazione dello stato sociale. Questa mancanza sembra rivelare qualcosa di più importante, qualcosa che affonda le radici nell’impianto sociale e politico del nostro paese, ne rispecchia il carattere autoritario e clientelare, lontano da un modello anche solo “liberale”.
L'introduzione del reddito minimo non si scontra con insormontabili limiti economici. Lo dimostra il fatto che molti paesi lo adottano. Per certi versi (e sorvolando sulle differenze sul modo di intenderlo) il reddito minimo mette d'accordo economisti molto diversi tra loro. L’economista neoliberista e premio Nobel Milton Friedman ha sostenuto con forza negli Usa, oltre alla celebre «riduzione delle tasse», anche l’opportunità dell’introduzione del reddito minimo, portando dalla sua parte molti economisti. Dall'altra parte, però, sostenitore del reddito minimo è stato anche l’economista neokeynesiano, anch’egli premio Nobel, James Tobin. In Italia Tito Boeri è spesso intervenuto a sostegno dell’introduzione del reddito minimo nel nostro paese. Da un punto di vista filosofico Antonio Negri nel suo Impero ha sostenuto la fondatezza del reddito garantito in senso universale basandosi però ancora su un’idea di retribuzione (per un lavoro svolto ma non riconosciuto). Per il filosofo ed economista Philippe van Parijs (belga ma attualmente professore ad Harvard) e per il nutrito gruppo di economisti e intellettuali di ogni nazione europea riuniti nel BIEN, si dovrebbe andare addirittura oltre gli attuali sussidi di disoccupazione . Il Basic income, da riconoscersi a tutti, ricchi e poveri, occupati e disoccupati, vale semplicemente come principio di garanzia di libertà - della libertà di passare il tempo a fare il surf sulla spiaggia di Malibù come della libertà di lavorare. Per quanto possa sembrare strano, secondo van Parijs, questa soluzione costerebbe addirittura meno dell’attuale sussidio di disoccupazione ed eviterebbe il rischio della cosiddetta «trappola assistenziale», perché lavorare non significherebbe rinunciare al sussidio . La proposta del Basic income non può apparire nella sua giusta luce se non si tiene presente la realtà dei sussidi di disoccupazione in Europa. Il Basic income è per certi versi figlio dei sussidi di disoccupazione, ne rappresenta l'evoluzione, la radicalizzazione del principio. Si pensi per esempio al fatto che in Austria il reddito minimo è considerato chiaramente un diritto soggettivo . Naturalmente il dibattito teorico sul reddito minimo è molto ampio e complesso (ma qui non è questo che interessa): un altro punto di vista sulla questione è, ad esempio, quello di André Gorz .
5. L'etica protestante e lo spirito del welfare. L'idea dominante da noi è che in tema di welfare nessuno possa fare miracoli, con l'eccezione di alcuni paesi alieni, come la Danimarca, la Svezia, la Norvegia. Così, paradossalmente, l'esperienza scandinava ha avuto da noi l’effetto di nascondere tutto quello che avveniva nel resto d’ Europa. Gli scandinavi fanno miracoli, il resto del mondo è invece come noi. Proprio l’eccezionalità ha finito per suggerire che non sono paesi il cui esempio possa essere seguito. Sì è vero, hanno tante belle cose : ma sono pochi, hanno più risorse, sono protestanti e via discorrendo. Si tratta, come ricorda ad esempio Michele Salvati (MicroMega, 1/05 p. 48), di «paesi piccoli, socialmente molto omogenei, di cultura protestante, e con sindacati e partiti molto robusti, esempio di un modello 'neo-corporativo', (e dunque di élite colluse e autoreferenziali) di cui i politologi fecero un gran parlare alcuni anni addietro». Capisco il senso. Tuttavia, per autoreferenzialità neocorporative e collusioni partitiche noi non siamo da meno a nessuno, anche senza il welfare dei danesi. Il problema è che, indipendentemente dalla risposta che si possa dare al ruolo del protestantesimo nell’efficienza dello stato sociale, ad essere più avanti di noi non sono solo gli alieni scandinavi. L'Argomento demografico («sono pochi, dunque ricchi»); l'Argomento antropologico («i nordici sono rigidi, onesti e democratici per natura»); l'Argomento svizzero o elvetico («sono paesi chiusi che consumano in beata e piccina autarchia, misteriose risorse di cui solo loro dispongono») crollano di fronte alla Francia, alla Germania, alla Gran Bretagna, alla Spagna, al Portogallo, all'Austria. Crollano di fronte alle raccomandazioni inascoltate dell'Unione Europea. Anche l'Argomento autodenigratorio, semplice variante dell’Argomento antropologico («figurarsi in Italia che cosa succederebbe con il reddito minimo, nessuno lavorerebbe più o tutti lavorerebbero al nero»), vacilla se si considera che il reddito minimo è molto più trasparente delle pensioni di invalidità. E caso mai il discorso va rovesciato: proprio in un paese dove, come si dice, «la mafia trova lavoro», sarebbe opportuno asciugare il disagio sociale. Proprio in un paese disinibito al voto clientelare, sarebbe opportuno, contro le soluzioni discrezionali, fissare come diritto soggettivo il reddito minimo. Del resto è un discorso vecchio come il cucco. Il reddito minimo renderebbe gli individui meno dipendenti e più liberi: più liberi anche dai condizionamenti prodotti dalle nostre élite autoreferenziali a caccia di clientele e collusioni. Tra l'Eccezione nordica e l'Italia c'è un terreno intermedio: ed è a questo terreno intermedio che fa riferimento Jeremy Rifkin a proposito del Sogno europeo.
Nonostante si sia disposti a credere il contrario, l'Italia spende meno degli altri paesi in welfare. Non sempre i sistemi dei diversi paesi sono comparabili, ma un'idea generale i numeri la danno comunque. Secondo Eurostat l'Italia è tra i paesi Ue che dedicano meno risorse alla protezione sociale. In media, nel 2001 i Quindici dedicavano il 26,5% del proprio prodotto interno lordo (Pil) alle spese per la protezione sociale; percentuale che in Italia scende al 24,5% (undicesimo posto nell'Ue a 15). Il livello massimo si registra in Svezia (30,3%) ed il minimo in Irlanda (14,6%). L'Italia è in assoluto il paese che dedica la maggior parte delle risorse destinate alla protezione sociale alle pensioni (62,2% contro il 46,5% della media europea), ed è invece nelle ultime posizioni per la percentuale di risorse assegnate alle famiglie (4,1% contro 8%), ai disoccupati (1,6% contro 6,3%) e alle due funzioni alloggio ed esclusione sociale (complessivamente, 0,3% contro 3,6%).
Quante volte si è chiacchierato del problema del costo degli alloggi? Qui veramente i numeri parlano da soli. L’Italia spende un ridicolo 0,1%, mentre la Francia spende il 3,1% e l’Inghilterra il 5,5. Potrebbe far riflettere che a Portici c’è una densità di 13.322 abitanti per chilometro quadrato mentre a Hong Kong è di 6.314 . Proviamo a indovinare dov'è il problema?
Una società più giusta funziona anche meglio. Non è meno competitiva, ma più competitiva. Più giustizia (meglio che la Giustizia) coincide con più libertà. Lo dimostra anche il reddito minimo. In Europa chi non lavora temporaneamente può permettersi di aspettare, di cercare, di studiare e alla fine di trovare un lavoro più gratificante di quello che ha perduto. Il reddito minimo prefigura in questi paesi un rapporto con il lavoro diverso da quello a cui siamo stati abituati. La precarietà diventa anche un modo per guardarsi intorno e per scegliere. È una realtà della quale potrei portare molti esempi di amici e amiche francesi o inglesi … C'è chi con il reddito minimo ha potuto investire del tempo per la preparazione del concorso per insegnare nella scuola; chi ha potuto affrontare le incertezze della precarietà che comporta la carriera accademica. «Le Rmi» non ha permesso un periodo di vita nel lusso, ha però concesso loro il lusso di scegliere la propria vita. Al contrario, potrei fare il caso di una giovane studiosa italiana di manoscritti medievali, molto promettente, che oggi lavora come vigile urbano. A 28 anni, Guido partì per l'Inghilterra con alle spalle un corso di laurea in lettere non terminato e davanti il modesto progetto di imparare l'inglese per poi, forse, tornare in Italia. A 28 anni le opportunità gli sembravano (a torto) ristrettissime. Dopo aver studiato l'inglese in un bel college, pagando una quota ridotta del 75% in quanto disoccupato, si iscrisse all’università di Bristol. Gli riuscì poi di fare quello che in Italia non era riuscito a fare: laurearsi. E non solo. Lo lasciai che studiava l'inglese, lo ritrovai 15 anni dopo che insegnava all'università.
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domenica 3 febbraio 2013
SE MI VOTI TI RIDò I SOLDI
Berlusconi, Via l'Imu Restituiremo soldi pagati
Annuncio leader Pdl. 'Saro' io, come ministro dell'Economia, a restituire agli italiani i soldi'ci ()
BERLUSCONI, VIA IMU PRIMA CASA, RESTITUIREMO SOLDI ANNUNCIO LEADER PDL A MILANO, ATTO PER NUOVO INIZIO
IMU E' ATTO CHE HA DATO VIA A CRISI - "L'Imu sulla prima casa è il tratto più dissennato del governo tecnico che ha dato il via alla crisi perché la prima casa non si deve toccare, si è toccato il fattore psicologico che è il primo fattore di crisi". Così Silvio Berlusconi, a Milano, ribadendo che se vince toglierà l'Imu, l'Irap e l'Iva con un piano "poderoso".
VIA IMU SU PRIMA CASA IN PRIMO CDM - "L'Imu è una tassa dissennata e confermo che nel primo consiglio dei ministri la cancelleremo come nel 2008". Così Silvio Berlusconi a MIlano.
VIA IMU PRIMA CASA, RESTITUIREMO SOLDI - "Le famiglie italiane saranno rimborsate come risarcimento ad un' imposizione sbagliata". Così Silvio Berlusconi presenta la 'proposta choc': al primo cdm sarà abolita l'Imu sulla prima casa e saranno restituiti i soldi versati nel 2012. "Sarà un atto di ricucitura, un atto simbolico ma concretissimo che apra una nuova pagina che riporti i cittadini ad avere fiducia nello Stato".
Berlusconi, annunciando la soppressione dell'Imu sulla prima casa, ha quindi spiegato che il suo governo attuerà anche altri interventi. "In cinque anni - ha detto - elimineremo l'Irap, imposta che pesa sulle imprese, un'imposta odiosa che deve essere pagata dalle aziende anche se non chiudono i bilanci in utile. Poi non ci sarà alcun aumento dell'Iva e ovviamente nessuna patrimoniale. Come potete vedere il nostro è un programma completamente opposto a quello di Monti e della sinistra".
BERLUSCONI,COME MINISTRO ECONOMIA RESTITUIRO' IMU - "Sarò io, come ministro dell'Economia, a restituire agli italiani i soldi dell'Imu. Se Angelino Alfano mi confermerà al ministero...". Così Silvio Berlusconi spiega, scherzando, il suo ruolo in caso di vittoria alle elezioni.
Silvio Berlusconi nell'annunciare la soppressione dell'Imu e la restituzione dei soldi pagati quest'anno ha quindi spiegato che si tratta di una misura necessaria in quanto: "l'Imu ha dato il via a questa crisi". Berlusconi ha quindi precisato che: "non possono essere messe tasse sulla prima casa che rappresenta la sicurezza per le famiglie". Quindi ha sottolineato come l'Imu ha "determinato la crisi". "Con questa tassa - ha detto - c'é stato il crollo dei mutui, la riduzione della compravendita delle abitazioni, il crollo delle aziende per costruzioni residenziali e tutto ciò ha determinato la creazione di 360 mila disoccupati in un anno". L'ex presidente del Consiglio ha quindi spiegato che questa iniziativa è necessaria: "come atto di sutura, di ricucitura, di pacificazione. Un atto di pace dello Stato verso le nostre famiglie. Un atto simbolico che può ridare la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato".
RESTITUZIONE IMU SU CONTO CORRENTE O IN CONTANTI - "I soldi dell'Imu sulla prima casa saranno restituiti con un rimborso sul conto corrente oppure, specie per i pensionati, in contanti, attraverso gli sportelli delle poste", Lo dice Silvio Berlusconi a Milano. "Se una famiglia ha pagato 1200 euro di Imu riceverà un rimborso di 1200; se un pensionato ha pagato 900 euro riceverà un rimborso di 900, e così via".
BERLUSCONI, SOLDI PER IMU DA ACCORDO CON SVIZZERA - Per coprire l'operazione di restituzione dell'Imu "chiuderemo l'accordo con la Svizzera per la tassazione delle attività finanziarie detenute in Svizzera da cittadini italiani: il gettito è una tantum di 25-30 mld e poi all'anno un flusso di 5 mld". Così Silvio Berlusconi a Milano.
In attesa di perfezionare l'accordo con la Svizzera, "prenderemo in prestito - spiega Berlusconi - i soldi per la cassa depositi e prestiti". Una volta risarciti gli italiani, per coprire il gettito Imu, che vale 4 miliardi, aggiunge Berlusconi, puntiamo "ad riorganizzazione macchina dello stato che può arrivare al 10 per cento della spesa pubblica" e al ricavato "dell'aumento delle accise su giochi, scommesse, lotto e tabacchi".
VOLONTA' ELETTORI SOVVERTITA DA TECNICI - "E' un dolore dirlo ma oggi il rapporto di fiducia del cittadino verso lo stato è in grave crisi, turbato da scandali recenti causati da qualche mestierante della politica, da un clima di intimidazione verso contribuente e dal sovvertimento della volontà elettori con governo tecnico". Così Silvio Berlusconi a Milano.
CON MONTI SPIRALE RECESSIVA CHE VA INVERTITA - "Dopo Monti siamo dentro una spirale recessiva fatta della caduta dei consumi, troppe tasse, poco investimenti e un aumento della disoccupazione. E' indispensabile invertire la rotta". Così Silvio Berlusconi a MIlano
BERLUSCONI, NO A SIRINGHE STRAPAGATE - Parlando della riduzione dei costi dello Stato, nel suo incontro a Milano, Silvio Berlusconi ha sostenuto che "bisogna applicare i costi standard: non è corretto che si paghi una siringa dieci volte tanto in Calabria rispetto ad una regione del nord". "Altro tema importante nella sanità è pagare i fornitori: in Calabria i giorni di attesa sono 870, in Campania - ha sottolineato - oltre 700 e in Lombardia 320".
RIORGANIZZEREMO MACCHINA DELLO STATO - Silvio Berlusconi nel corso della conferenza stampa organizzata a Milano ha annunciato che il suo governo, se vincerà le elezioni, attuerà una riforma della macchina dello Stato. "In cinque anni - ha spiegato - possiamo ridurre le spese dello Stato di 80 miliardi".
FACCIO ULTIMA BATTAGLIA CONTRO TASSATORI - "Non ho nulla da chiedere per me, farò un' ultima grande battaglia elettorale e politica per allargare gli spazio di libertà, per far uscire l'Italia dalla prospettiva cupa in cui l'hanno costretta i tassatori tecnici e i tassatori della sinistra". Così Silvio Berlusconi spiega, annunciando la restituzione dei soldi dell'Imu, il senso del suo nuovo impegno in campagna elettorale.
RICETTA E' MENO TASSE PIU' LAVORO - "La ricetta liberale per il benessere è meno tasse su imprese, famiglie e lavoro uguale più consumi, più produzione più posti di lavoro uguale più soldi a disposizione dello Stato per chi resta indietro": questa la ricetta liberale espressa da Silvio Berlusconi a Milano, per risollevare l'economia.
MONTI, CAV MAI MANTENUTO PROMESSE, ITALIANI SANNO - "E' magnifico, Berlusconi ha governato per tanti anni e non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte. Ci prova per la quarta volta. Gli italiani hanno buona memoria". Così Mario Monti commenta l'annuncio del Cavaliere di voler restituire i soldi dell'Imu sulla prima casa in caso di vittoria.
"E' magnifico - sostiene Monti - Berlusconi ha governato per tanti anni e non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte. Non ha mantenuto la promessa di fare la rivoluzione liberale, non ha mantenuto la promessa di ridurre le tasse, in più ha creato molti problemi, tanto è vero che ha dovuto lasciare. Ci prova per la quarta volta. Gli italiani hanno buona memoria".
martedì 29 gennaio 2013
F-16 DISPERSO:GUASTO O ABBATTIMENTO?
Disperso un F-16 Usa Frammenti di carbonio in mare come se fosse stato abbattuto
Si teme che il guasto sia stato talmente improvviso da non consentire al pilota di lanciarsi dal velivolo,improvviso come se fosse stato colpito
Un caccia F-16 statunitense, decollato dalla base di Aviano, ha perso il contatto radio al largo di Cervia (Ravenna) ed è presumibilmente caduto in Adriatico. Tracce di carburante sono state ritrovate dai mezzi della Capitaneria di Porto di Ravenna nel tratto di mare antistante al ravennate tra Lido di Savio a nord e Cervia a sud. Le ricerche della Capitaneria a questo punto si concentrano in questo braccio di mare.
Si teme che "il guasto sia stato talmente improvviso e grave da non dare al pilota il tempo di reagire e di azionare il dispositivo che permette di eiettarsi, una volta accertato che l'aereo non può arrecare rischi per la popolazione", la stessa rapidità di un abbattimento.E' quanto ritengono fonti qualificate dell'aeroporto "Pagliano e Gori", che ha la giurisdizione sulle operazioni di volo della Base statunitense di Aviano. Questo elemento, con il passare delle ore, fa crescere la preoccupazione per le sorti del pilota dell'F16 statunitense precipitato ieri sera in Adriatico. Nella Base Usaf di Aviano, da dove il velivolo era decollato, c'è grande, comprensibile, apprensione. Alle ricerche partecipano anche militari partiti nella notte da Aviano, sia del 31° Fighter Wing, sia dell'Aeronautica militare italiana.
Sono proseguite tutta la notte le ricerche del caccia F16 che si è inabissato ieri nel mare Adriatico. Verso le 4 un peschereccio di Cesenatico ha recuperato alcuni piccoli frammenti di carbonio che potrebbero appartenere al velivolo, anche se al momento né del pilota né dell'aereo c'é traccia. Sulla zona insiste una leggera foschia che, secondo chi conduce le operazioni di ricerca, dovrebbe alzarsi nel corso della mattinata. Alle ricerche ora partecipa anche il nucleo sommozzatori della Capitaneria di porto di San Benedetto del Tronto, che collabora così con le motovedette delle Capitanerie di Cervia, Ravenna, Cesena e Rimini. Si sta setacciando una porzione di mare che si concentra tra il Lido di Cervia e quello di Savio, dove la scorsa notte erano state trovate scie di carburante.
L'aereo risulta ufficialmente disperso, sono in corso le sue ricerche, in primo luogo da parte degli stessi caccia che erano in formazione con l"F-16. Alle ricerche partecipano anche uomini della Guardia costiera, con il coordinamento della centrale operativa di Roma delle Capitanerie di Porto.
Ha segnalato un "problema" non specificato il pilota del caccia F-16 statuntense di cui si sono persi i contatti. Lo ha appreso l'ANSA da fonti qualificate dell'aeroporto 'Pagliano e Gori' di Aviano (Pordenone), da cui il velivolo è decollato. L'ultima comunicazione con la torre di controllo risale alle ore 20.00 di ieri sera.
Finora nessuna traccia né di eventuali rottami del velivolo né del pilota. Non sono state trovate nemmeno scie di carburante. Sul posto dalle 20.40 sono presenti diverse motovedette della Capitaneria di Porto partite prima da Cervia e poi dai porti delle province limitrofe. La zona è stata sorvolata anche dai tre aerei che erano decollati poco dopo le 18 per un volo di addestramento assieme a quello poi disperso.
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lunedì 28 gennaio 2013
IKEA AL VIA ALBERGHI LOW COST
DALL'ARREDAMENTO AL TURISMO
Progetto Ikea: l'albergo low cost
Economico ma di tendenza, questa è l'idea del re del mobile a basso costo. Diventerà una catena. Primi due hotel in Germania
Un centro commerciale Ikea
I primi due hotel saranno probabilmente aperti in Germania nel 2014: Ikea, il colosso svedese dell’arredamento di design ma a basso prezzo, investirà un miliardo di euro (anche se la cifra non è confermata ufficialmente) per entrare nel settore alberghiero con una propria catena, che non avrà però il logo della casa madre né sarà arredata con i suoi mobili.
CHEAP-BUT-COOL - Ikea intende aprire almeno un centinaio di alberghi in Europa. Per ora i Paesi interessati saranno, oltre alla Germania, il Belgio, l’Olanda, l’Austria, la Scandinavia, la Gran Bretagna e i Paesi dell’Est come la Polonia e le repubbliche baltiche. La filosofia della catena alberghiera sarà la stessa che ha garantito il successo dei mobili Ikea: prodotti economici ma con un bel design, insomma «cheap-but-cool». E gli hotel punteranno proprio ad offrire un’accoglienza di stile e calorosa, ma a prezzi contenuti. Target di riferimento chi viaggia per affari e i turisti «low cost» che però non rinunciano a un certo tipo di comfort.
VIA IL SUPERFLUO - Harald Mueller, dirigente Ikea e responsabile del progetto, ha spiegato al quotidiano svedese Svenska Dagbladet il piano e ne ha descritto la strategia: «Stiamo cercando da tempo immobili in tutta Europa. Elimineremo tutto ciò che è superfluo, come ad esempio i ristoranti, al posto dei quali metteremo una buona colazione, Internet ad alta velocità e una reception efficiente senza formalità da adempiere quando si lascia l’albergo».
TENDENZA - Il gruppo svedese ha già degli alberghi, ma il nuovo progetto rappresenta la prima catena. «Il segmento degli hotel di design a basso prezzo è quello che si sta sviluppando più velocemente», ha spiegato Mueller alla Reuters. La catena non avrà mobili Ikea perché «non sono Ikea hotel, sono uno sviluppo delle nostre normali attività di investimento nel settore immobiliare». E infatti saranno affidati a un operatore alberghiero internazionale. Il gruppo Ikea ha allo studio altri progetti in campo immobiliare, tra cui la costruzione di alloggi per studenti.
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I RISCHI DELLA SIGARETTA ELETTRONICA
È pesante, rigida, fredda, ha un led ridicolo su un'estremità che si accende di rosso neanche fosse una luce di natale. Non produce fumo, non lascia il suo inconfondibile olezzo su dita e vestiti, ma nemmeno si consuma, quindi non la puoi usare come unità di tempo ("una sigaretta e torno"). Tecnicamente si può fumare ovunque, in più sta diventando di tendenza, da quando una serie di personaggi della scena rock-alternative hanno cominciato a mostrarsi nei luoghi pubblici con un'elegante Revolver appesa alle labbra.
La star in questione si chiama sigaretta elettronica (o e-cigarette per i più trendy), ed è attualmente materia di infuocato dibattito. C'è chi la considera un'invenzione rivoluzionaria, che ridurrà le 600mila morti provocate dal fumo ogni anno, e chi invece ritiene sia un dispositivo inutile ai fini medici o addirittura pericoloso per la salute.
Per chi non ne avesse mai tenuta una fra le dita: la sigaretta elettronica ha la forma e la dimensione di una normale sigaretta ed è costituita da una cartuccia contenente una soluzione di glicole propilenico, glicerolo e nicotina (in corrispondenza del filtro), un atomizzatore che ha la funzione di riscaldare la soluzione e vaporizzarla e una batteria ricaricabile.
Sulla carta, questo surrogato di sigaretta consente una notevole riduzione del rischio tossicologico legato al fumo di sigaretta. L'assenza di una combustione vera e propria infatti fa sì che l'e-fumatore non si riempia i polmoni (e quelli di chi lo circonda) di monossido di carbonio, idrocarburi policiclici aromatici, benzopirene e altre sostanze dannose.
Eppure, a oggi in molti paesi del mondo le sigarette elettroniche sono bandite (per esempio in Brazile e in Canada) o richiedono tassativa prescrizione medica (Nuova Zelanda). Questo perchè, data l'introduzione recente di questi dispositivi, ancora non esistono prove sufficienti che dimostrino che le sigarette elettroniche non comportino danni alla salute. Diversi studi hanno riscontrato, in alcune cartucce di sigarette elettroniche attualmente in commercio, sostanze potenzialmente cancerogene come le nitrosammine specifiche del tabacco (Tsna) e nocive come il glicol dietilenico. Sebbene in molti prodotti non si sia riscontrata alcuna traccia di queste sostanze, alcuni studiosi evidenziano comunque il pericolo rappresentato dalla nicotina stessa che, in questo modo, potrebbe essere assunta in dosi assai superiori a quelle contenute in una normale sigaretta (alcuni parlano addirittura di rischio di avvelenamento da nicotina).
Ma la questione su cui si stanno concentrando il grosso delle ricerche non riguarda tanto i rischi per la salute, quanto il problema sanitario globale che nel 2003 ha portato allo sviluppo della prima e-cigarette: la dipendenza da nicotina.
Nel 2008, l'Organizzazione mondiale della sanità aveva ufficialmente invitato i produttori di sigarette elettroniche a non pubblicizzare i propri prodotti come rimedi per il trattamento della dipendenza da fumo di sigaretta. "Se i commercianti di sigarette elettroniche vogliono aiutare i fumatori a smettere, allora è necessario che conducano studi clinici e analisi di tossicità", aveva dichiarato Douglas Bettcher, direttore della Tobacco Free Initiative presso l'Oms: "Finché non lo fanno, l'Oms non può considerare la sigaretta elettronica come una terapia sostitutiva per la nicotina appropriata". La scorsa settimana il Ministro della Salute Ferruccio Fazio ha firmato un provvedimento che proibisce la vendita di sigarette elettroniche ai minori di 16 anni, poiché "allo stato attuale mancano le conoscenze relativamente alla maggior parte dei sistemi elettronici in questione, sugli effetti sulla salute dei composti organici e dei prodotti per la vaporizzazione in essi utilizzati".
Dal 2008 a oggi sono stati condotti un certo numero di studi volti a testare l'efficacia della sigaretta elettronica nel trattamento del tabagismo. Tra questi, uno in particolare ha ricevuto parecchia attenzione da diversi organi stampa che non hanno esitato a parlare di "efficacia confermata della sigaretta elettronica". La squadra guidata da Riccardo Polosa dell'Università di Catania ha pubblicato lo scorso maggio i risultati di uno studio condotto su 120 fumatori abituali che già seguivano una terapia sostituiva a base di cerotti alla nicotina. I soggetti sono stati divisi in due gruppi, uno ha sperimentato una terapia a base di sigarette elettroniche, l'altro invece è stato utilizzato come gruppo di riferimento. Dopo 24 settimane, tra i soggetti che avevano manifestato in partenza una maggiore dipendenza comportamentale dal fumo di sigaretta (valutata tramite il metodo Gnsb), il 66,7% aveva smesso di fumare, un tasso più di tre volte superiore a quello del gruppo di riferimento (19,2%). Questo settembre, Polosa e colleghi hanno confermato questi risultati in un ulteriore studio pubblicato sulla rivista BMC Public Health.
Ma allora sigarette elettroniche funzionano? Calma, la risposta corretta è: dipende. Quello che molti si sono dimenticati di sottolineare, è che le sigarette elettroniche utilizzate dal'equipe dell'Università di Catania non contenevano nicotina. Questo significa che i risultati di Polosa e colleghi, pur incoraggianti, non valgono per tutte quelle marche di sigarette elettroniche (la maggior parte) che a ogni tiro dispensano generose boccate di nicotina.
Del resto il vero problema, parlando di dipendenza da nicotina, risiede proprio nella sua modalità d'assunzione. Come fa notare il neurobiologo David J.Linden nel suo The Compass of Pleasure, l'80% circa di chi prova a fumare sigarette ne diventa dipendente. Questo in parte perché le sigarette sono legali e relativamente economiche, certo, ma c'è un altro fattore. A differenza degli eroinomani, che tendenzialmente lasciano passare ore tra una dose e l'altra, i tabagisti forniscono nicotina al cervello in continuazione, per gran parte del giorno, stimolando i centri neurali del piacere con piccole dosi alla volta. Questa modalità di assunzione rende enormemente più rapido l'apprendimento associativo che, nel cervello del fumatore, connette il fumo di sigaretta, il gesto di fumare, l'aroma e l'immagine stessa di una sigaretta con la sensazione di piacere provocata dalla nicotina.
Per questo nello studio di Polosa i soggetti che più hanno tratto beneficio dalla terapia con sigaretta elettronica sono quelli in cui la dipendenza comportamentale era più marcata. Alla dipendenza da nicotina ci pensavano i cerotti, alla dipendenza comportamentale (la ritualità dell'accendersi sigarette) ci pensavano le sigarette elettroniche senza nicotina. In quest'ottica, le sigarette elettroniche contenenti nicotina avrebbero il solo effetto di barattare una dipendenza (dal tabacco) con un'altra (dalla sigaretta elettronica), senza realmente risolvere il problema.
Non stupisce, perciò, che i grandi produttori di sigarette elettroniche oggi non fanno salti mortali per sottolineare la presunta qualità terapeutica e transitoria dei loro dispositivi, anzi alcuni assomigliano più a penne stilografiche di lusso che a sigarette mediche. E a giudicare dal numero di persone che, dopo aver provato una sigaretta elettronica, ne diventano dipendenti, sembra quasi che quello che era nato come un rimedio potrebbe trasformarsi in un nuovo modo di smerciare nicotina a livello globale. E a un prezzo più alto.
fonte | Wired.it
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